I misteri della DECO


Le pressioni agenti nelle varie parti del corpo.

Il corpo di un subacqueo che si immerge alla profondità q è sottoposto alla pressione idrostatica di valore:

p =1+q/10 (1)

dove p è espressa in atmosfere e q in metri. Egli inoltre respira una miscela (aria, nitrox, trimix ecc.) che gli viene fornita dall'erogatore a pressione praticamente eguale a p.

Il gas respirato contiene sempre una certa percentuale di azoto che essendo un gas inerte non viene utilizzato dall'organismo ma si scioglie prima nel sangue e successivamente nei tessuti.


Fig. 1: Pressioni agenti sul corpo di un subacqueo.


La situazione è quindi quella di fig. 1 in cui le molecole di azoto di colore viola permeano tutto il corpo del subacqueo assumendo una pressione pS nel sangue e pT nei tessuti. Il passaggio dai polmoni, in cui l'azoto di trova alla pressione xp (dove x è la frazione di azoto nella miscela respirata e vale 0.79 nel caso dell'aria) verso il sangue e i tessuti avviene per diffusione, come è indicato schematicamente in fig. 2.


Fig. 2: Processo di trasferimento dell'azoto tra polmoni, sangue e tessuti.


Il processo secondo cui l'azoto passa dagli alveoli polmonari al sangue (o viceversa) è però basato su di un meccanismo di scambio particolarmente efficiente. Per questo motivo, almeno in prima approssimazione, si può ritenere che la pressione dell'azoto presente nel sangue sia eguale alla pressione dell'azoto nei polmoni e cioè si assume pS = x p. Il sangue a sua volta irrora i tessuti, cedendo loro molto lentamente l'azoto.

In conclusione si fa l'ipotesi che azoto respirato e presente nei polmoni venga ceduto istantaneamente dai polmoni al sangue, trasportato senza apprezzabili ritardi ai tessuti e poi ceduto a questi ultimi per lenta diffusione attraverso le pareti dei capillari.


La diffusione dell'azoto dal sangue ai tessuti e viceversa.

Tutti i tessuti del corpo umano sono più o meno permeati da una fitta rete di capillari che trasportano l'azoto respirato dai polmoni al tessuti e viceversa. Se si seziona un tessuto e se ne prende in esame una piccola fetta sottile si può supporre che essa abbia una struttura simile a quella di fig. 3 in cui compaiono quattro capillari (cerchi bianchi) disposti ai vertici di un quadrato e circondati dal tessuto molle supposto uniforme. Si faccia l'ipotesi che il sangue sia ricco di azoto, come avviene durante una immersione e i capillari lo stiano cedendo al tessuto. Il colore, che nella suddetta figura sfuma dal rosso vivo al blu, rappresenta la concentrazione istantanea di azoto che uscendo dai capillari penetra lentamente nel tessuto circostante. Come si vede le zone poste in prossimità dei capillari sono colorate in rosso vivo ad indicare che ivi la densità di azoto è elevata mentre le zone più lontane sono colorate in blù per indicare che in zone più distanti la densità di azoto presente è minore. Ovviamente la situazione descritta si evolve col tempo.


Fig. 3: Sezione di tessuto con capillari da cui diffonde l'azoto.


L'immagine di fig. 3 pur essendo abbastanza significativa si può sostituire con quella del tutto equivalente ma più intuitiva riportata in fig. 4 in cui la concentrazione istantanea di azoto è descritta a mezzo di una immagine tridimensionale. Una superficie disposta idealmente al di sopra della sezione di tessuto (non indicata in figura) rappresenta la concentrazione del gas in ogni punto: più alta è la superficie maggiore è la concentrazione (pressione) di azoto presente.


Fig. 4: Superficie tridimensionale rappresentante la concentrazione di azoto nella sezione di tessuto.


La figura tridimensionale ha il vantaggio di consentire una spiegazione intuitiva del fenomeno di diffusione dell'azoto. Si può infatti immaginare che le molecole di azoto, che escono dalle pareti dei capillari, siano delle palline metalliche che, partendo dall'alto cioè dai capillari a pressione elevata, rotolano lungo i fianchi della collina (superficie colorata) andando a saturare il tessuto circostante. Ovviamente si tratta solo di un modo arbitrario anche se intuitivo di rappresentare il fenomeno dato che le molecole non sono soggette alla forza di gravità ma escono dai capillari per diffusione. Il processo complessivo si può allora descrivere a mezzo di un filmato, i cui fotogrammi principali sono mostrati in fig. 5-a,b e c.


Fig. 5: Processo di saturazione del tessuto.


La fig.5-a rappresenta la situazione di un sub che si è appena immerso e, respirando azoto ad alta pressione, ha i capillari ricchi di tale gas mentre il tessuto circostante è ancora pressoché scarico. Dopo un certo tempo la fuoriuscita delle molecole di azoto dai capillari, favorita dalla pendenza inizialmente elevata della superficie circostante, provoca un riempimento parziale del tessuto (fig. 5-b). La superficie equivalente si innalza e i suoi pendii diventano meno ripidi per cui il processo di uscita del gas rallenta fino a raggiungere sempre più lentamente lo stato di saturazione finale indicato in fig.5-c. Come si vede in quest'ultima figura, il tessuto si è portato praticamente alla stessa pressione dei capillari e lo scambio di gas, non più favorito dalla pendenza della superficie, cessa.

Una situazione analoga ma opposta si ha quando il sub risale in superficie. In questo caso sono i tessuti ricchi di azoto che se ne liberano versando le molecole nei capillari come è mostrato in fig. 6.


Fig. 6: Effetto della risalita sulla distribuzione delle molecole di azoto nel tessuto.


I capillari si sono portati a bassa pressione a causa della risalita del sub e fungono da vie di scarico per le molecole di azoto che dal tessuto "rotolano" in essi per poi essere eliminate attraverso gli alveoli polmonari. Anche in questo caso si ha un filmato del processo di desaturazione, riportato in fig. 7.


Fig. 7: Processo di desaturazione del tessuto.


Il processo inizia con il tessuto ricco di azoto e i capillari che lo drenano in modo molto efficace a causa della forte pendenza della superficie rappresentativa (vedi fig.7-a). Man mano che passa il tempo, il tessuto si impoverisce di azoto con conseguente abbassamento della superficie rappresentativa e della sua pendenza (fig.7-b), fino a che il tessuto si porta praticamente alla stessa pressione dei capillari (fig.7-c).

Se si traccia l'andamento temporale p(t) della pressione di azoto in un punto particolare, per esempio in uno dei vertici della sezione (segmenti verdi in fig. 5 e fig. 7), durante i processi ora descritti, si ottiene un andamento come quello di fig. 8.


Fig. 8: Andamento della pressione dell'azoto in un dato punto del tessuto.


Come si vede quando il sub si immerge si ha prima un rapido aumento di pressione corrispondente alla situazione di fig. 5-a, seguito poi da un fenomeno sempre più lento (fig.5-b) che tende alla saturazione (fig.5-c). Non appena il sub risale si ha una rapida diminuzione di pressione (corrispondente alla situazione di fig.7-a) seguita poi da una calata sempre più lenta (fig.7-b e c).

Benché le figure tridimensionali appena viste rappresentino in modo molto soddisfacente i fenomeni che avvengono in una sezione di tessuto, esse sono troppo complicate per essere utilizzate in pratica. Per questo motivo si preferisce descrivere il comportamento della sezione stessa con la pressione p(t) di fig. 8 oppure con un valore analogo (ad esempio il valore medio della pressione su tutta la sezione, ossia l'altezza media della superficie rappresentativa). Se ciò non bastasse, in un tessuto esteso è possibile effettuare una quantità arbitrariamente grande di sezioni in punti diversi ad ognuno dei quali si può associare una diversa pressione rappresentativa p(t). Anche in questo caso converrà fare una media ottenendo in tal modo una pressione pT(t) rappresentativa di una porzione estesa ma abbastanza omogenea del corpo umano.

Quello appena descritto è un procedimento alquanto grossolano che trascura completamente la presenza della distribuzione disuniforme dell'azoto evidenziata dalle figure 4,5,6 e 7. Esso assimila il tessuto ad un contenitore a pressione uniforme collegato al sistema vascolare da cui riceve azoto mediante il processo di diffusione attraverso le pareti dei capillari. Si parla in questo caso di diffusione di massa (bulk diffusion) per indicare che si fa una media e non si tiene conto della distribuzione molto differenziata dell'azoto che si ha in parti anche tra di loro molto vicine di tessuto. Questo deve far riflettere il lettore sulla rozzezza e sui limiti del modello descrittivo che ne consegue. Il problema si può comunque mitigare utilizzando un numero sufficientemente elevato di compartimenti ciascuno con una pressione pT (anch'essa ottenuta con l'ipotesi di una bulk diffusion locale) avente caratteristiche di evoluzione nel tempo del tipo di quelle riportate in fig. 8 ma con velocità notevolmente diverse in modo da rappresentare abbastanza fedelmente tutti i principali tessuti del corpo umano.

In tali ipotesi l'incremento DpT di pressione dell'azoto nel compartimento in esame durante l'intervallo di tempo Dt si può assumere proporzionale alla differenza tra la pressione dell'azoto presente nel sangue e quella (uniforme) presente nel compartimento stesso (fenomeno della diffusione). In altre parole si ha:

DpT = Dt (pS -pT)/t (2)

dove pS e pT sono dei particolari valori assunti dalle pressioni nel sangue e nei tessuti, rispettivamente, durante l'intervallo di tempo Dt considerato. Il coefficiente t, detto costante di tempo del tessuto, o meglio del compartimento che lo rappresenta, dà invece conto della diversa velocità con cui i vari tessuti del corpo umano assorbono azoto (essa è legata al cosidetto periodo di emisaturazione P dalla relazione P = t log2). Come già accennato le varie parti del corpo umano assorbono azoto a velocità differente per cui si devono prendere in considerazione separatamente gruppi di tessuti cosidetti veloci (reni, fegato, cervello... ) aventi una t piccola, tessuti medi (pelle, muscoli… ) aventi una t media e tessuti lenti (articolazioni, ossa, grasso… ) aventi una t grande. Normalmente un computer subacqueo effettua il calcolo per 6 oppure 8 o ancor più compartimenti diversi con periodi che vanno da pochi minuti fino a qualche ora.

Il calcolo dei valori assunti dalla pressione pT di azoto in un compartimento si può effettuare per via numerica utilizzando la equazione (2). Indicando infatti con t1, e t2 due istanti di tempo successivi, si ha:

[pT(t2) - pT(t1)] = (t2-t1) [pS- pT(t1) ]/t (3)

in cui a pS di solito si assegna il valor medio della pressione di azoto respirato (curva rossa) dal sub nell'intervallo di tempo compreso tra t2 e t1. Si noti che in queste ipotesi la (3) è una espressione approssimata che è tanto più valida quanto più è piccola la differenza (t2-t1). Misurando la profondità negli istanti t1 e t2 il computer che accompagna il sub può calcolare pS = xp a mezzo dell'eq. (1) e quindi ottenere pT(t2) dalla (3) nota che sia pT(t1). Ripetendo poi il procedimento a partire da pT(t2) esso ricava pT(t3) e via via tutti i valori di pT di ogni tessuto durante tutta l'immersione. Come già detto il calcolo descritto è tanto più preciso quanto più piccola è la differenza tra i due istanti di tempo successivi considerati. Normalmente, essendo i valori delle costanti di tempo dei tessuti dell'ordine dei minuti, intervalli di tempo anche di parecchi secondi garantiscono una precisione più che soddisfacente.


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Fig. 9: Tipico esempio di immersione ricreativa.


In fig. 9 vengono riportate le tre curve, blu per la pressione p della miscela respirata, rossa per la pressione pS dell'azoto nel sangue e verde per la pressione pT dell'azoto in un dato tessuto per un tipico profilo di immersione. Il sub prima si porta a profondità elevate (40 mt.), rimanendovi per 20 minuti, poi risale fino a una certa quota intermedia (20 mt.) e infine dopo una permanenza a tale quota di 10 minuti, risale in superficie. Come si vede la curva verde della pressione di azoto nel tessuto segue con ritardo la curva rossa tanto che una volta in superficie il sub si trova ad avere un carico di azoto nel tessuto di entità tale da provocare la malattia da decompressione.


La malattia da decompressione e il rapporto di sovrasaturazione.

Per verificare se si può verificare la malattia da decompressione (MDD) occorre considerare il rapporto numerico tra curva verde e curva blu. In altre parole si ritiene (teoria di Haldane) che il sub sia esposto a pericolo di MDD ogniqualvolta il rapporto r = pT/p tra la pressione pT dell'azoto nel tessuto e la pressione idrostatica p supera un certo valore critico rmax, detto rapporto critico di sovrasaturazione, che dipende da tessuto a tessuto. Questo perché la MDD può verificarsi in un tessuto ricco di azoto quando la pressione idrostatica che grava su di esso scende al di sotto di un certo valore.


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Fig. 10 a e b: Processo di formazione di bolle di azoto in un tessuto.


Nel tessuto compresso dalla pressione idrostatica di elevata intensità (fig. 10-a) le molecole di azoto rimangono disperse mentre quando la pressione idrostatica p cala oltre un certo limite le piccole cavità, gli alveoli ecc. (zone chiare di fig. 10-a) si dilatano e si riempiono di azoto in forma di bolle come indicato in fig. 10-b. Queste bolle possono provocare danni di varia entità al tessuto dando luogo alla cosidetta MDD.

Per concludere mentre l'assorbimento (e il rilascio) dell'azoto è controllato dalla curva rossa (azoto nel sangue), la malattia da decompressione è controllata dal rapporto tra curva blu (pressione idrostatica) e curva verde (pressione nel tessuto).

È interessante notare a questo proposito che la curva blu non dipende dal tipo di miscela respirata (essa dipende solo dalla profondità) mentre vi dipende la rossa.


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Fig. 11: Effetto della respirazione di ossigeno puro.


In fig. 11 è riportata l'immersione di fig. 9 in cui al sub viene fatto respirare ossigeno puro a partire dal tempo ta = 40 minuti e fino in superficie. Come si vede la curva rossa (pressione dell'azoto nei polmoni e nel sangue) precipita a zero (x = 0) e favorisce una rapida evacuazione dell'azoto dal tessuto (curva verde). In questo modo il rapporto r tra curva verde e blu (quest'ultima rimasta inalterata) risulta molto più piccolo: in fig.11 esso è addirittura minore di 1 in superficie! Ovviamente questo esempio ha un valore puramente teorico ed indicativo dato che la respirazione di ossigeno puro a 20 metri sarebbe per altri motivi molto pericolosa!

Una situazione analoga si ha quando il sub usa il Nitrox. In fig. 12 è riportato il caso dell'immersione di fig. 9 con l'uso di EAN36. Come si vede la curva verde risulta abbassata in modo che il rapporto r assume valori minori che nel caso dell'aria (esso assume il valore massimo pari a 1.74 in superficie), garantendo al subacqueo un maggior margine di sicurezza.


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Fig. 12: Immersione con Nitrox.


Un altro modo per abbassare i valori di r consiste nell'introdurre la ben nota sosta di sicurezza a 5 metri. Questa tappa è stata aggiunta a conclusione dell'immersione presa in esame nella fig. 9 e il risultato ottenuto è riportato in fig. 13.


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Fig. 13: Effetto della sosta di sicurezza a 5 metri.


È facile vedere che la curva di pT viene influenzata poco dall'introduzione della tappa in questione mentre viene innalzato per un certo tempo il valore di p che sta a denominatore di r abbassandone così il valore a livelli inferiori a quelli critici e permettendo una riemersione con margini di sicurezza superiori (il massimo valore di r si ottiene in superficie e vale 1.74 contro i 2.14 che si avevano senza sosta di sicurezza, vedi fig. 9).


Qual'è il tessuto più esposto?

Se si calcola il diagramma tipico delle pressioni per tre tessuti, uno veloce, uno medio e uno lento si vede subito che i tessuti più esposti al pericolo di MDD sono di solito quelli medi.

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Fig. 14: Andamento della pressione di azoto in tre tessuti con velocità differenti.


In fig. 14 viene infatti riportato il caso di tre tessuti, uno veloce, uno medio e uno lento e si vede chiaramente che quello medio ha il maggior valore di r in superficie.


La formazione delle bolle nei tessuti.

La malattia da decompressione è dovuta alla formazione di bolle di dimensioni sufficientemente grandi da ostruire i capillari, comprimere i nervi e causare danni di varia natura nei tessuti e nei giunti del corpo umano. Una bolla di gas che si forma in un liquido si trova sottoposta essenzialmente a tre tipi di pressione tra di loro in equilibrio come è mostrato in fig. 15.


fig. 15: Pressioni agenti in una bolla di gas immersa in un liquido.


La pg è la pressione del gas all'interno della bolla che obbedisce alla legge di Boyle-Mariotte e vale quindi:

pg=V0/(4/3pr3)

dove r è il raggio della bolla e V0 è il volume che occuperebbe il gas se si trovasse alla pressione di una atmosfera.

La pg deve contrastare sia la pressione idrostatica esterna p che la tensione superficiale a/r. Quest'ultimo termine è dovuto al fatto che le molecole della pellicola di liquido che circonda il gas si attirano reciprocamente e stingono quindi quest'ultimo in un abbraccio la cui intensità (pressione) cresce al decrescere del raggio della bolla stessa. Si ha perciò:

p + a/r = V0/(4/3pr3) (4)

dove a è un coefficiente dipendente dalle caratteristiche chimico-fisiche del liquido.

La Eq. (4), una volta nota la pressione idrostatica p e la quantità di gas V0 racchiuso nella bolla, consente di calcolare il valore del raggio assunto dalla bolla. In fig. 16 è riportata la variazione del raggio al variare della pressione idrostatica p per valori differenti del volume V0 del gas racchiuso cioè per bolle di diverse dimensioni.


fig. 16: Raggio delle bolle al variare della pressione idrostatica p.


Osservando tale figura si nota un fatto a prima vista sorprendente: le bolle di piccole dimensioni eventualmente presenti nei liquidi di un subacqueo restano inalterate, cioè non variano in modo apprezzabile il loro raggio, durante tutta l'immersione anche quando il sub scende a profondità molto elevate (80 m.). Solo le bolle più grandi sono influenzate dalla variazione delle pressione esterna e di conseguenza variano il loro raggio durante l'immersione.

L'indipendenza della dimensione delle bolle più piccole dalla pressione p si spiega col fatto che nella Eq. (4) i termini col raggio r a denominatore assumono valori molto grandi per cui il valore di p risulta trascurabile e la bolla si assesta su di un raggio dato dalla relazione approssimata:

r2 = V0/(4/3p a) (5)
indipendente da p.


Sono stabili le bolle?

In teoria no: una bolla di gas immersa in un liquido dovrebbe evaporare entro un tempo abbastanza breve. La tensione superficiale comprime infatti il gas all'interno della bolla e gli fa acquistare una pressione superiore a quella del gas disciolto nel liquido circostante. In conseguenza di questo squilibrio il gas tende a uscire dalla bolla che si sgonfia e scompare. Tuttavia è noto sperimentalmente che molte bolle, sopratutto di piccole dimensioni, si mantengono per lungo tempo all'interno di un liquido. Per spiegare questo apparente paradosso si è postulata la presenza di sostanze attive nel liquido che intervengono conferendo stabilità alla bolla. Tali sostanze, dette surfattanti (surfactants), fungono da impalcatura che impedisce alle bolle sia di contrarsi, sia eventualmente di dilatarsi. In pratica i surfattanti creano uno strato di sostegno semirigido all'interno della bolla (indicato in rosso in fig. 15) che annulla la tensione superficiale. In assenza di quest'ultima la pressione del gas all'interno è eguale a quella del gas disperso nel liquido e la bolla non si sgonfia né si accresce.


I surfattanti sono in grado di stabilizzare qualsiasi bolla?

Ovviamente no. Al contrario essi sono in grado di stabilizzare solo le bolle il cui raggio appartiene ad un intervallo di valori piuttosto ristretto. Bolle troppo grandi richiedono una impalcatura di stabilizzazione troppo estesa e soggetta quindi a cedere con facilità. Solo al di sotto di un certo raggio il surfattante forma una impalcatura efficace che è tanto più solida quanto minore è il raggio della bolla da stabilizzare. La situazione è allora quella di fig. 17 che mostra la quantità di bolle per unità di volume in un liquido al variare del raggio.


Fig. 17: Distribuzione delle bolle stabilizzate dai surfattanti al variare del raggio.


Come si vede al di sopra di un certo raggio rmax le bolle non si sostengono, mentre al decrescere del raggio il loro numero aumenta perché aumenta l'efficacia del surfattante. Esiste però un raggio minimo rmin al di sotto del quale le bolle scompaiono improvvisamente. Perché? Si è già visto che il surfattante crea una impalcatura che equilibra la tensione superficiale. L'intensità di tale tensione è però inversamente proporzionale al raggio per cui, quando quest'ultimo tende a zero, il suo valore supera ogni limite  facendo cedere di schianto il surfattante. Si pensi che nell'acqua, una microbolla d'aria di raggio pari ad un millesimo di micron e' sottoposta ad una tensione superficiale di circa 750 atmosfere! Una volta priva dell'impalcatura del surfattante la microbolla non più stabilizzata evapora in frazioni di secondo.

Tutto questo porta ad una conclusione abbastanza sorprendente: se si aumenta la pressione idrostatica, i raggi delle bolle presenti diminuiscono (come mostrato in Fig. 16 ) e non appena essi scendono al di sotto di rmin il surfattante si frantuma e la bolla corrispondente evapora. Sperimentalmente si vede che una pressione idrostatica di circa 10 atmosfere è in grado di portare al di sotto delle soglia minima di sopravvivenza tutte le bolle normalmente presenti nel sangue di un sub alla prima immersione. La fascia di esistenza delle bolle che va da rmin a rmax è infatti molto ristretta.

Questo fatto è sfruttato in pratica dai sub profondisti che scendono ad altissima velocità, incuranti della eventuale formazione di microbolle indotte dal brusco salto di pressione (vedi nel seguito). Una volta superati i 90-100 metri infatti tutte le bolle collassano e scompaiono. Va infine notato che a causa di un fenomeno di isteresi, il raggio minimo rmin si sposta verso l'alto durante la successiva risalita. In altre parole perché si possano riformare le microbolle in risalita occorre scendere al di sotto delle 7-8 atmosfere (anziché 10). Questo consente al sub di risalire ad alta velocità da quote profonde fino a 60-70 metri senza pericolo.


La prima immersione.

Anzitutto quando il sub si immerge per la prima volta non avendo bolle di dimensioni apprezzabili nell'organismo che, in virtù di fig. 16, possano subire forti variazioni volumetriche durante la fase di risalita, sembrerebbe al riparo dai pericoli di MDD. Le microbolle inevitabilmente presenti, dovute alla circolazione del sangue, alle valvole cardiache che aprono e chiudono violentemente, al movimento dei muscoli e degli arti e ad altre cause come verrà descrittonel seguito, sono infatti di dimensioni microscopiche (diametri dell'ordine del micron) e quindi del tutto al riparo dagli effetti della variazione di p. Resta quindi da chiedersi il perchè della MDD in questi casi. La risposta sta nel fatto che le microbolle presenti possono aggregarsi (fenomeno della coalescenza) e quindi aumentare il proprio raggio fino al superamento di quel raggio critico al di sopra del quale si ha un aumento notevole di volume durante la risalita.


Fig. 18: Coalescenza delle bolle durante una immersione.


Questo processo viene descritto schematicamente in fig. 18 che utilizza le curve di variazione del raggio con la pressione, viste in precedenza. Come si vede il sub si immerge e le piccole bolle presenti nei suoi tessuti vengono portate a pressione elevata (freccia blu verso destra) senza subire variazioni apprezzabili. La pressione elevata favorisce però l'urto e la coalescenza per cui le piccole bolle si aggregano in una più grande (freccia arancione verso l'alto). Durante la risalita (freccia blu verso sinistra) molte di queste bolle appena formate si aggregano a loro volta per cui una volta in superficie il sub si ritrova con molte bolle di dimensioni piuttosto grandi anche se non ancora pericolose.

A questo punto si stabilisce una competizione tra la coalescenza (freccia arancione verso l'alto) e lo sgassamento spontaneo delle bolle (freccie verdi verso il basso). Se prevale il primo si ha la MDD altrimenti alla fine rimarranno bolle di piccole dimensioni.

Questa competizione, dal cui esito dipende la salute del subacqueo, può avere esito favorevole o sfavorevole a seconda del comportamento che il sub stesso tiene subito dopo la risalita. L'esercizio fisico (lunghe nuotate per raggiungere la barca o la riva) favorisce il contatto e l'aggregazione delle bolle e quindi può far pendere la bilancia dalla parte della MDD. Anche una cattiva circolazione del sangue dovuta a disidratazione o alla esposizione a sorgenti calde quali docce, sole ecc. può, indebolendo il processo di rimozione del gas, favorire quest'ultima. La riimmersione per la liberazione di un'ancora o il recupero di oggetti caduti è estremamente pericolosa se fatta pochi minuti dopo l'emersione perchè la ricompressione che ne consegue non solo impedisce lo sgassaggio ma sopratutto favorisce il riavvicinamento, la collisione e quindi l'aggregazione delle bolle già considerevolmente cresciute.


Le immersioni ripetitive.

Se un sub è abbastanza al riparo dalla MDD quando si immerge per la prima volta, lo stesso non può dirsi di quando si riimmerge dopo poche ore da una precedente immersione. Chiaramente anche se la competizione tra il fenomeno aggregativo e lo sgassaggio spontaneo delle bolle si era risolto a favore di quest'ultimo, è evidente che la situazione di partenza per la nuova immersione è molto cambiata. Sopratutto se l'intervallo di superficie, che in genere dovrebbe sempre superare le due ore, non è sufficiente, molte di più saranno le microbolle presenti, sia in numero che in volume, come si vede anche dalla fig. 18, e molto maggiori dovranno essere le precauzioni per evitare la MDD.

Tra l'altro un numero più elevato di microbolle altera anche il processo di diffusione del gas dai tessuti al sangue, allungando i periodi dei tessuti stessi durante la fase di risalita e diminuendo in tal modo la capacità dell'organismo di liberarsi dall'eccesso di azoto.


Perché si formano le microbolle? Attenzione alle discese troppo rapide!

Da quanto detto risulta chiaro che il sub è esposto alla MDD se le microbolle presenti nel suo organismo crescono per coalescenza e raggiungono dimensioni tali da interagire con il tessuto circostante ostruendo i capillari arteriosi e comprimendo i nervi. Resta però il problema di vedere quali sono le cause di formazione dei nuclei iniziali senza i quali la MDD sarebbe virtualmente impossibile. Come già accennato in precedenza vi sono moltissime cause di formazione delle microbolle, ad esempio la chiusura e apertura delle valvole cardiache che possono creare fenomeni vorticosi (cavitazione) con conseguente formazione di nuclei gassosi che poi vengono messi in circolo. Se a questo e ad altri fenomeni non si può evidentemente porre rimedio, ve ne è un altro, forse ancor più dannoso, che invece può essere almeno in parte evitato: esso è la formazione di microbolle per discesa troppo rapida. Nel paragrafo relativo alla diffusione dell'azoto dai tessuti ai capillari si è mostrato come sia possibile visualizzare intuitivamente tale fenomeno a mezzo di una superficie lungo la quale le molecole di azoto "rotolano" dai capillari al tessuto circostante. Si supponga allora di effettuare una discesa molto rapida in modo che la differenza di pressione tra sangue arterioso e tessuti raggiunga valori particolarmente elevati. La situazione è allora quella di fig. 19 in cui il forte salto di pressione provoca la "caduta" quasi verticale delle biglie metalliche che rappresentano le molecole di azoto le quali raggiungono il fondo (tessuto) ad alta velocità.


Fig. 19: Uscita violenta delle molecole dai capillari e formazione di microbolle nei tessuti per discesa troppo rapida.


L'urto che ne consegue può provocare l'aggregazione delle molecole che formano piccole bolle nel tessuto, come è mostrato in figura. Queste ultime sono i nuclei che durante la risalita successiva possono coalescere e dar luogo a MDD. Per concludere: più lenta è la discesa e minori saranno i pericoli successivi di MDD!
Ovviamente un fenomeno analogo anche se inverso si ha durante la risalita rapida come è mostrato in fig. 20


Fig. 20: Uscita violenta delle molecole dal tessuto verso i capillari durante la risalita, con formazione di microbolle.


Per quanto possa sembrare strano quest'ultimo fenomeno è però molto meno pericoloso. Le bolle si formano infatti all'interno dei capillari venosi cioè in condutture che si vanno via via allargando e quindi possono essere eliminate senza difficoltà. è ben noto infatti che il sangue venoso di un sub è particolarmente ricco di bolle dopo la risalita ma queste bolle sono generalmente asintomatiche.


Se si formano grosse bolle che succede?

Se si formano bolle di dimensioni elevate occorre distinguere due casi. Se la bolla si forma nel sangue o nei liquidi interstiziali dei tessuti e non viene a contatto con superfici solide (pareti dei vasi o tessuti) essa tende a sgonfiarsi spontaneamente. A titolo di esempio si può seguire la sorte di una bolla di dimensioni medie che si trovi in un liquido durante la risalita del sub. Poiché la pressione idrostatica esterna p va rapidamente calando, l'elevata pressione interna pi non risulta più equilibrata. Essa fa perciò dilatare la bolla (vedi fig. 16) fino a raggiungere un nuovo equilibrio in corrispondenza del quale la pi si porta a valori di poco superiori, causa la tensione superficiale, a quelli della pressione ambiente p. Il tessuto o più precisamente il liquido disperso in esso e che circonda la bolla, specie se la risalita è stata veloce, non ha invece fatto in tempo a liberarsi dell'azoto in eccesso. Questo gas possiede quindi una concentrazione molto più elevata e tende a riversarsi nella bolla per diffusione, facendone crescere il volume in modo pericoloso. La storia della bolla è perciò quella sintetizzata per fotogrammi successivi in fig. 21.


Fig. 21: Evoluzione di una bolla immersa in un liquido durante e dopo la risalita in superficie.


Come si vede si hanno le seguenti tre fasi:

  • crescita veloce ma non molto pronunciata, dovuta alla risalita rapida, e al conseguente calo della pressione ambiente pche comprime la bolla

  • crescita più ampia ma più lenta dovuta alla diffusione del gas dal liquido del tessuto verso la bolla (la pressionepT dell'azoto all'esterno della bolla supera di molto la pressione pi dell'azoto all'interno della bolla)

  • sgonfiaggio finale che inizia quando il liquido del tessuto si è in gran parte desaturato e la pressione dell'azoto all'interno della bolla riprende il sopravvento, grazie alla tensione superficiale, su quella dell'azoto all'esterno della bolla.

Il destino finale della bolla sembrerebbe quindi in ogni caso la sua scomparsa. Perché allora la MDD? Il motivo è semplice: il fenomeno descritto in fig. 21 si basa sull'ipotesi di una bolla sferica e quindi soggetta alla tensione superficiale. Se, contrariamente a quanto assunto in fig. 21, la bolla si espande in un liquido di estensione limitata come avviene nei tessuti reali, essa può riempire in tutto o in parte lo spazio a disposizione e perdere la forma sferica, come è mostrato a titolo di esempio in fig. 22.


Fig. 22: Crescita di una bolla in un ambiente limitato.


In questo esempio la superficie che delimita la bolla è formata da facce piane e quindi prive di tensione superficiale. La pressione interna pi è del tutto eguale a quella esterna finale pT0 e così la bolla non si sgonfia mai e può provocare la MDD. 

Ovviamente l'esempio di fig. 22 non esaurisce i casi di mutua interazione che si possono verificare tra bolle e tessuti. Una bolla si può formare anche tra le fibre prive di liquido di un tessuto (vedi ad esempio fig. 10), oppure all'interno di un capillare in cui forma un manicotto molto lungo che interrompe il flusso sanguigno ecc. In tutti questi casi però il motivo della permanenza della bolla è sempre lo stesso: la perdita della forma sferica e la conseguente scomparsa della tensione superficiale che favorisce lo sgonfiaggio. Infine questo grande numero di forme e casi possibili ha reso difficile, almeno fin'ora, la formulazione di un modello semplice per la descrizione dell'evoluzione delle bolle all'interno del corpo di un subacqueo.


La finestra dell'ossigeno e la cura della MDD.

Si è appena visto che una bolla di dimensioni sufficienti dispersa nel tessuto può essere in equilibrio con l'esterno e quindi rimanere stabile. Fortunatamente la situazione non è così compromessa come sembra dato che il gas che satura il corpo del sub e riempie la bolla non è solo azoto ma anche ossigeno. Quest'ultimo viene in parte metabolizzato all'interno della bolla trasformandosi quindi in anidride carbonica. Questo fatto non comporterebbe alcuna variazione della pressione e del volume della bolla dato che ogni molecola di ossigeno viene sostituita da una di anidride. L'anidride carbonica però gode della notevole proprietà di avere una grande libertà di movimento ossia di attraversare con grande facilità pareti, membrane e di sciogliersi molto bene nei liquidi e nel sangue. In breve, essa esce in gran parte dalla bolla e quindi la fa sgonfiare. Questo calo di pressione all'interno della bolla indotto dalla metabolizzazione dell'ossigeno e dalla successiva fuga dell'anidride carbonica prodotta, è denominato col termine tecnico di finestra dell'ossigeno. Ovviamente essa sta alla base dei trattamenti in camera iperbarica in cui al paziente viene somministrato ossigeno a pressioni moderatamente elevate. Se infatti si riuscisse a sostituire completamente l'azoto all'interno della bolla con l'ossigeno, quest'ultimo verrebbe metabolizzato e provocherebbe la scomparsa quasi totale della bolla stessa. Questo in pratica non avviene ma spesso la riduzione di volume indotta nelle bolle presenti è più che sufficiente dal punto di vista terapeutico.


Si possono identificare e misurare le bolle nell'organismo?

In generale è possibile farlo ma occorre utilizzare mezzi diagnostici molto sofisticati quale la TAC a risonanza magnetica nucleare o simili. Una tecnica di misura molto semplice ma di portata diagnostica limitata è invece quella basata sull'effetto doppler. Essa consiste nell'irradiare una parte del corpo con un fascio concentrato di onde acustiche ad alta frequenza (2 - 5 Mhz) emesse da un trasduttore T posto a diretto contatto con la zona in esame. Se nel circolo sanguigno sottostante vi sono bolle in movimento esse riflettono le onde sonore aumentandone la frequenza in funzione della velocità secondo la quale si muovono (effetto doppler), come è mostrato in fig. 23.

Fig. 23: L'onda inviata dal trasmettitore T viene riflessa e aumentata in frequenza dalle bolle in movimento.

L'onda riflessa viene raccolta da un sensore R posto anch'esso esternamente e fatta passare attraverso un filtro sintonizzato su una frequenza leggermente diversa da quella incidente in modo da raccogliere solo le riflessioni dovute alle bolle in movimento. L'intensità della radiazione riflessa è in genere proporzionale al volume delle bolle. In questo modo si può valutare le dimensioni delle bolle in circolo nelle vene del sub subito dopo la risalita. 


Le bolle evidenziate con la tecnica doppler sono quelle che provocano la MDD?

Assolutamente NO! Le bolle nel circolo venoso sono di solito eliminate dagli alveoli polmonari senza far danno. Inoltre non vi è alcuna evidenza né teorica né sperimentale che dimostri una correlazione diretta tra le bolle nel circolo venoso e le bolle nei tessuti che sono invece la vera causa della MDD. Proprio perché sono ferme e bloccate, le bolle nei tessuti sono invisibili alle misure doppler. Si può solo ragionevolmente ritenere che la presenza di bolle di grosse dimensioni nel circolo venoso possa essere un segnale di pericolo.


Perchè normalmente si formano bolle nelle vene e non nelle arterie?

E ben noto, dalle misure effettuate con la tecnica Doppler, che il sangue venoso di un sub è ricco di bolle sia durante la risalita che dopo la riemersione, mentre il sangue arterioso ne è normalmente privo. Per spiegare questo fenomeno e gettare luce sul meccanismo che può provocare la MDD, occorre prendere in considerazione la struttura del sistema cardiocircolatorio, il cui funzionamento è descritto schematicamente nell'animazione di fig. 24.


Fig. 24: Funzionamento del sistema cardiocircolatorio e formazione delle bolle venose.

Il cuore si può schematizzare come una doppia pompa (cuore destro e cuore sinistro, posti in alto e in basso in fig. 24) che muove il sangue dai polmoni ai tessuti e viceversa. Durante la fase di aspirazione (della pompa in basso), i polmoni cedono l'ossigeno (palline verdi) al sangue che poi viene inviato ai tessuti durante la successiva fase di compressione. Nel sub in risalita, l'azoto che permea i tessuti (palline viola) trasuda attraverso le pareti dei capillari (freccie nere) in forma di microbolle che, superata una certa dimensione minima, si staccano e vengono trascinate via dalla corrente sanguigna. Il sangue nei capillari venosi dei tessuti viene aspirato con violenza (dalla pompa cardiaca superiore) e se le bollicine presenti sono in numero elevato, lo stiramento che ne consegue può provocare la rottura delle mini-colonne di liquido, con formazione di grosse bolle che dai capillari vanno prima al cuore e poi ai polmoni, dove escono e vengono espulse con la respirazione (vedi animazione). Tale fenomeno non si ha invece nei capillari arteriosi dato che in essi il sangue fluisce per compressione (da parte della pompa inferiore) e quindi le corrispondenti colonne sanguigne restano integre. Questo è essenzialmente il motivo per cui le bolle normalmente si formano solo nelle vene e non nelle arterie. Ovviamente le bolle che si formano nelle vene non provocano problemi e quindi la loro presenza non preoccupa il subacqueo. è però chiaro che in caso di forte travaso di azoto dai tessuti al sangue, le microbolle possono formarsi anche a monte dei capillari e cioè nei tessuti stessi. Inoltre gli impulsi di aspirazione provenienti dal cuore possono dar luogo a effetti di dilatazione che favoriscono l'aumento di volume di queste bolle con conseguente pericolo di MDD. 


Il Forame Ovale Pervio (FOP).

Benchè in Fig.24 le due pompe che costituiscono il cuore appaiano, per ragioni grafiche, separate e distanti, esse sono in realtà poste l'una accanto all'altra (cuore destro e cuore sinistro) e possono comunicare tra di loro attraverso un foro nella parete che le separa, detto Forame Ovale. Il Forame Ovale, che è aperto prima della nascita, dovrebbe chiudersi nei primi mesi di vita isolando così le due pompe cardiache. Se ciò non avviene o la chiusura è parziale o imperfetta (Forame Ovale Pervio), come avviene nel circa 15-20 % della popolazione, nel sub in risalita si può avere un travaso diretto delle bolle presenti, dal circolo venoso a quello arterioso, come è mostrato in Fig. 25.


Fig. 25: Forame ovale pervio e travaso delle bolle venose nel circolo arterioso.

Questo è un fenomeno estremamente pericoloso dato che come risulta dalla figura le bolle spinte verso i capillari arteriosi fungono da tappo e bloccano di fatto l'afflusso di ossigeno ai tessuti. Il passaggio di bolle attraverso il forame non ben chiuso avviene di solito quando si ha una differenza di pressione tra le due pompe. Una delle cause più comuni è la manovra di compensazione del Valsalva, specie se essa viene effettuata a testa in giù, di modo che tutta la colonna di sangue venoso presente negli arti grava sulla pompa in alto di fig. 25, aumentandone la pressione. Ecco il motivo per cui la discesa a testa in giù è assolutamente da evitare specie durante le prime fasi dell'immersione. 


Grandezza e limiti del modello haldaniano.

I fenomeni ora descritti sono alla base di modelli semplificati che vengono utilizzati per il calcolo delle tabelle di decompressione e per la gestione di immersioni a mezzo di computer (vedi paragrafo successivo).
Il modello più noto è senza dubbio quello introdotto dal fisico inglese Haldane e sul quale si basano, seppure con qualche modifica, quasi tutti quelli attualmente utilizzati. Ovviamente un modello per essere utile deve essere abbastanza semplice da consentire un calcolo in tempo reale e cioè realizzabile in tempi trascurabili rispetto alla velocità con cui si evolvono i fenomeni da tenere sotto controllo. Ad esempio il calcolo delle distribuzioni di pressione riportate in fig. 5 e 7 è troppo complesso per essere eseguito in tempo reale per cui si preferisce ridurre i tessuti a dei compartimenti equivalenti in cui le molecole di azoto entrano per diffusione e danno luogo ad un andamento di pressione media che si evolve nel tempo con andamento esponenziale, come quella riportata in fig. 8. In questo caso si parla di diffusione di massa (bulk diffusion).

Questa si può quindi ritenere la prima ipotesi di Haldane: tessuti con pressione differenziata da punto a punto vengono sostituiti da compartimenti a pressione uniforme.

Cosa avviene al capillare durante il processo di cessione (o di ricezione) dell'azoto? è ovvio che il sangue del capillare tende a impoverirsi di azoto via via che il processo di cessione si evolve nel tempo. Questo complica in modo notevole il calcolo per cui si preferisce supporre che il capillare sia invece una fonte di azoto a pressione costante.

Questa è la seconda ipotesi di Haldane: i compartimenti vengono alimentati da sorgenti di azoto a pressione costante.

Questa ipotesi è abbastanza ben verificata dato che la cessione dell'azoto è lenta mentre la circolazione sanguigna è molto più veloce. In altre parole il sangue dei capillari viene sostituito in continuazione in modo che il suo contenuto di azoto si può ritenere costante o meglio dipendente solo dalla profondità a cui si trova il sub. L'ipotesi che il corpo del sub sia assimilabile a un insieme di comparti a pressione uniforme alimentati da una sorgente di azoto a pressione costante si chiama anche ipotesi della perfusione. Per concludere il modello haldaniano si può descrivere in base ad un processo di perfusione (da polmoni a capillari senza caduta di pressione) seguito da una diffusione (da capillari a tessuti a mezzo di bulk diffusion).

Chiaramente il tallone di Achille del modello haldaniano più che nella ipotesi della perfusione che è abbastanza ben verificata data l'intensa vascolarizzazione dei tessuti e l'efficacia della pompa cardiaca che li alimenta, stà in quella della bulk diffusion con cui si descrive ciò che avviene in un tessuto esteso o addirittura in un gruppo di tessuti. Sostituire il processo che da luogo alle distribuzioni di pressione descritte nelle fig. 4 - 7 con una media, è un procedimento troppo grossolano che esclude tutti i fenomeni di formazione, crescita e aggregazione delle bolle descritti nelle fig. 18 - 21. Questo è il motivo per cui negli ultimi tempi sono apparsi nuovi modelli che pur accettando quello haldaniano cercano di correggerlo e completarlo prendendo in considerazione gli aspetti che esso trascura.


Gestione dell'immersione con computer.

Per comprendere cosa può accadere ad un subacqueo rimasto troppo tempo in profondità conviene far riferimento al cosidetto diagramma di stato che riporta in ascissa la pressione idrostatica p (o anche la quota q=10 (p-1) in cui si trova il subacqueo) e in ordinata la pressione pT dell'azoto disciolto nel tessuto in esame.

Questo diagramma viene chiamato di stato perché ogni suo punto rappresenta una possibile situazione in cui può venire a trovarsi un subacqueo durante una immersione.


Fig. 26: Traiettoria di una immersione nel piano di stato.


Come si vede dalla Fig. 26, che corrisponde al profilo di immersione riportato in fig. 4, il punto rappresentativo dello stato del subacqueo descrive la traiettoria di colore blu che dallo stato di superficie (punto giallo con p=1,pT=0.79) lo porta attraverso il piano entrando anche in zone caratterizzate da valori del rapporto di sovrasaturazione pT/p superiori a quello critico (area gialla).
Più precisamente questo avviene quando la traiettoria di stato attraversa la retta rossa di equazione p = rmaxpT, portandosi alla sua sinistra. Tanto più lunga ed estesa è l'escursione in tale zona, tanto maggiore è il pericolo di MDD cui è esposto il subacqueo. La retta rossa, che è il luogo dei punti di massima pressione pT di azoto sopportabile da un tessuto in corrispondenza della pressione idrostatica p (o dellaprofondità q) a cui si trova il sub, è noto col termine di curva degli M-Valori (cioè Massimi-Valori).

In Fig. 26 è anche tracciata una retta di colore verde che rappresenta lo stato di saturazione finale del tessuto: se il sub rimane fermo ad una certa pressione idrostatica p (ovvero ad una certa profondità q) il suo stato si muoverà lungo una retta verticale che tende sempre verso la suddetta retta di saturazione. Questo fatto suggerisce allora una semplice strategia per evitare di entrare nella zona di pericolo MDD: non appena la traiettoria di stato intercetta la curva degli M-Valori il sub si ferma e attende che, muovendosi lungo una retta verticale , il suo punto di stato si allontani abbastanza dalla zona pericolosa. Quando ciò è avvenuto il sub riprende a salire verso la superficie ecc. Questa strategia è mostrata in Fig. 27.


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Fig. 27: Traiettoria con tappa di decompressione.


In Fig. 27 la parte di traiettoria corrispondente alla tappa a quota costante, introdotta nel profilo di immersione allo scopo di non sconfinare nella zona di MDD, è indicata in colore magenta.

Questa strategia di risalita, anche se raggiunge lo scopo di evitare la MDD, presenta alcuni problemi pratici. La tappa va eseguita al momento in cui il sub stà per attraversare la curva degli M-Valori, ma non è detto che essa possa sempre essere eseguita a causa di mancanza della riserva d'aria necessaria o altre emergenze. Si preferisce allora utilizzare una strategia un pò diversa che consiste nel fissare una serie di tappe a quote prefissate come mostrato in Fig. 27.


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Fig. 28: Tappe di decompressione a quote fisse.


Come si vede al sub vengono prescritte traiettorie che intercettino la curva degli M-Valori in corrispondenza di una serie di quote fisse. Queste possono essere scelte arbitrariamente ma di solito si assumono eguali a multipli di 3 metri (cioè 3, 6, 9,12, ecc.), come nel caso dei computer della serie Aladin. Le traiettorie di colore magenta indicate in Fig. 28 sono traiettorie limite di risalita a velocità prefissata (10 m/min.) e suddividono il piano di stato in varie zone. Se lo stato del sub si trova al di sotto della traiettoria m0 egli può ancora risalire direttamente in superficie senza problemi. Se invece si trova tra la m0 e la m3, la risalita dovrà avvenire facendo tappa a 3 metri. Se invece si trova tra m3 e m6 sarà necessaria una tappa di 6 metri seguita da una di 3 metri e così via.

È compito del computer segnalare al sub quale sia la strategia di risalita corretta identificando istante per istante le quote di decompressione da utilizzare nonché il tempo necessario per portare a termine tutta la risalita. A tale scopo esso simula, utilizzando l'equazione A-2, una risalita in superficie a velocità v0 prefissata (per esempio 10 m/min.) a partire dal punto in cui si trova attualmente il sub. Se la traiettoria attraversa la curva degli M-valori entrando in zona a rischio MDD la simulazione viene rifatta risalendo però fino alla prima tappa o alla seconda ecc. finché si trova una tappa che non comporta sconfinamenti nella zona pericolosa.

Nell'esempio di Fig. 28 si suppone che lo stato attuale del sub corrisponda al punto Q caratterizzato dalla coppia di valori (p0,pT0). La traiettoria di risalita simulata è quella verde e la prima tappa sicura si trova a 12 metri. Noto allora il valore della pTS stimato in corrispondenza di 12 metri (pallino verde a p=2.2 atm) è possibile calcolare tutti i tempi di risalita a tappe successive (12 metri, 9 metri, 6 metri, 3 metri) utilizzando la espressione (6) del paragrafo precedente. In particolare si ha (vedi Fig. 28):

t0=10(p0-2.2)/v0 (tempo necessario per scendere da Q alla quota di 12 metri)

pTS = pT0 + [xp0 - pT0][1 - e(-t0/t)] +xv0[t + t[1 - e(-t0/t) ]]/10

t12 = t log[(pTS -2.2x) / (M9 - 2.2x)] (tempo residuo di tappa a 12 metri)

t9 = t log[(M9 - 1.9x) / (M6 - 1.9x)] (tempo totale di tappa a 9 metri)

t6 = t log[(M6 - 1.6x) / (M3 - 1.6x)] (tempo totale di tappa a 6 metri)

t3 = t log[(M3 - 1.3x) / (M0 - 1.3x)] (tempo totale di tappa a 3 metri)

cui vanno sommati i tempi necessari per risalire da una tappa all'altra e cioè 4ta dove

ta = 3/v0 (tempo per risalire 3 metri tra una tappa e l'altra)

Tutti questi valori vengono calcolati in frazioni di secondo e la loro somma: T=t0+ t12+ t9+ t6+ t3+ 4ta appare sul display del computer con l'indicazione "deco time" insieme con la quota della prima tappa (12 metri nell'esempio fatto). Ovviamente i calcoli vengono continuamente aggiornati in relazione al comportamento reale del sub. Se egli si attarda ancora alla quota attuale o scende troppo lentamente potrà essere necessario aggiungere un'altra tappa (15 metri). Se invece il sub scende fino alla prima tappa (di 12 metri nell'esempio di Fig. 28) il computer azzera il tempo t0 ed aggiorna il deco time visualizzato ricalcolando il tempo t12 con il nuovo valore istantaneo di pTS, la pressione attuale di azoto nel tessuto in esame, che stà scendendo.

Se a partire da un certo istante, in cui tra l'altro si avrà t12=0, il computer stima che la risalita a 9 metri può avvenire senza pericoli, esso aggiorna l'indicazione di tappa sul display da 12 a 9. Dopodichè la procedura continua aggiornando in continuazione il tempo t9 e così via fino a completare tutta la risalita fino in superficie.


Immersioni in curva, immersioni fuori curva e computer che "danno i numeri".

Spesso si sente parlare di immersioni in curva o fuori curva senza che il significato di tali definizioni sia chiaro. In Fig. 28 si è visto che esiste una traiettoria limite denominata m0 al di sopra della quale è necessario effettuare una o più tappe di deco mentre al di sotto ciò non è richiesto. In pratica utilizzando anche la curva verde di saturazione, verso cui convergono tutte le traiettorie di un sub a quota costante si vede che il piano di stato può essere suddiviso in quattro regioni (vedi Fig. 29), denominate A, B,C e D ed aventi caratteristiche notevolmente diverse dal punto di vista della sicurezza del sub.

Fig. 29: Piano di stato, regioni di deco, non deco e traiettoria di lenta risalita che attraversa il punto X.


  • A: Questa è la regione sicura. Essa corrisponde allo stato di un sub che non si è mai spinto in profondità e non necessita di particolari precauzioni per risalire in superficie.Tutte le traiettorie a quota costante rimangono all'interno ovvero al di sotto di m0 per cui non è mai richiesta la deco. Il computer in questo caso segnala un tempo illimitato di no-deco e l'immersione è sempre "in curva".

  • B: Questa è invece la regione corrispondente allo stato di un sub che pur essendosi immerso da poco ha raggiunto profondità superiori ai 18-20 metri. Le traiettorie a quota costante, dopo un tempo più o meno lungo, escono da questa regione e attraversando la traiettoria limitem0 si portano nella regione C che è la più pericolosa in quanto caratterizzata da profondità e valori di azoto nei tessuti entrambi elevati. Il computer segnala un tempo di no-deco che va via via diminuendo fino ad azzerarsi e l'immersione è in curva purché si risalga prima che avvenga l'attraversamento di m0, ossia prima di sconfinare in C.

  • C: Questa è la regione più critica ed è tipica del sub che si è immerso a profondità elevate (o comunque superiori a 18-20 metri) rimanendovi per lungo tempo. Le situazione è potenzialmente pericolosa in quanto le traiettorie rimangono all'interno di quest'area e sopratutto rimangono al di sopra di m0per cui è sempre richiesta la deco. Il computer richiede una risalita a quote meno profonde e cioè un trasferimento immediato nella regione D dove dovranno effettuarsi le tappe.

  • D: Questa è la regione delle tappe di deco ossia è tipica di un sub che dopo essersi immerso a profondità elevate o comunque superiori ai 18-20 metri, risale con un carico potenzialmente pericoloso di azoto nei tessuti. Sono quindi necessarie delle tappe, siano esse tradizionali o profonde (deep stops), che permettono di desaturare i tessuti e raggiungere la regione sicura A, prima di risalire in superficie. Infatti le traiettorie di un sub a quota costante tendono tutte ad uscire portandosi al di sotto di m0 e cioè nella regione A.

Osservando la Fig. 29 si vede che esiste un punto particolare, il punto X, che cade nella zona intorno ai 13-18 metri (a seconda del tessuto) e che gode della curiosa proprietà di appartenere a tutte e quattro le regioni appena descritte. è chiaro allora che se la traiettoria del sub passa per X o peggio si sofferma su di esso, il computer impazzisce. Questo di solito può avviene quando il sub risale molto lentamente a partire dai 20 metri. La traiettoria del tessuto pilota, partendo sia dalla regione B (vedi esempio in Fig. 29) che dalla C, ha il tempo sufficiente per avvicinare la retta di saturazione verde e quindi attraversa il punto X. Il computer inizia allora, a causa degli inevitabili errori di misura e di calcolo, a dare indicazioni contraddittorie quali un no-deco time elevato o addirittura illimitato (ritenendo di essere nella regione B o A), seguito subito dopo da una richiesta di deco a 3 metri (ritenendo di essere nella regione C o D) e così via. Ovviamente non appena ci si allontana da X questo apparente malfunzionamento cessa di manifestarsi.


Modelli haldaniani modificati e haldaniani adattivi.

Nel paragrafo precedente si è vista l'importanza degli M-valori cioè di quei valori massimi di pressione che il tessuto può sopportare ad una certa profondità senza incorrere nella MDD. In base alla teoria di Haldane gli M-valori variano linearmente con la profondità e sono nulli per un tessuto sottoposto a pressione idrostatica nulla (vedi la retta rossa nelle Fig. 26-28). Tale ipotesi è però chiaramente non rispondente alla realtà fisica dato che una pressione, per quanto piccola, è necessaria per vincere la resistenza dei tessuti (vedi fig. 10) alla formazione delle bolle, anche con pressione esterna nulla. Sia in America (US Navy) che in Europa (Bühlmann) si è perciò introdotta una legge leggermente diversa per gli M-valori che parte da valori non nulli, come è mostrato in Fig. 30.


Fig. 30: Esempio di modifica degli M-valori introdotta da U.S. Navy e Bühlmann.


Come si vede le curve limite modificate oltre a partire da un livello di pressione non nullo crescono anche più lentamente di quella haldaniana per tener conto del fatto, rilevato sperimentalmente, che al crescere della profondità il sub appare più esposto ai pericoli della MDD. In pratica le curve modificate (sopratutto quella di Bühlmann) inseriscono un fattore di sicurezza maggiore per sub che si immergono a quote elevate.

Un notevole passo avanti per la sicurezza dell'immersione si ha con l'introduzione delle curve adattive degli M-valori, ovvero con i modelli cosidetti pseudo-haldaniani.

In pratica invece di utilizzare delle curve limite fisse, come visto fin'ora, si variano gli M-valori in relazione al comportamento tenuto dal sub nonché alle condizioni ambientali (temperatura) in cui egli opera.
Se ad esempio il subacqueo stà risalendo troppo rapidamente, la curva degli M-valori viene abbassata costringendolo ad una tappa più profonda. Lo stesso dicasi se il sub durante una immersione ripetitiva si è immerso a profondità massime più elevate che in precedenza: per tener conto della maggior esposizione ai pericoli di MDD che ciò comporta la curva limite viene abbassata anche in questo caso. L'entità della correzione (sempre in senso prudenziale) dei valori limite viene calcolata in vari modi.

Uno dei modelli pseudo-haldaniani più noti è l'RGBM (Reduced Gradient Bubble Model) in cui in base a considerazioni sulla fisica delle bolle nei tessuti (vedi paragrafi precedenti) viene calcolato un fattore di riduzione da applicare agli M-valori. In particolare il modello RGBM coincide praticamente con quello di Bühlmann nella prima immersione ma riduce gli M-valori nelle immersioni successive quando:

  1. è trascorso un breve intervallo di superficie (inferiore a 2 ore)

  2. ci si riimmerge a profondità maggiore che in precedenza

  3. si fanno immersioni ripetitive giornaliere per lunghi periodi di tempo.


Qual'è la traiettoria ottimale di risalita?

Si è visto come l'uso del computer consenta una risalita a tappe che evita il pericolo di malattia da decompressione. Ci si può allora chiedere se tale profilo di risalita sia il migliore che il sub può prendere in considerazione. La risposta è negativa dato che esistono altri profili di risalita che garantiscono la sicurezza in modo molto più soddisfacente. In generale è ovvio che, facendo riferimento al piano di stato (p, pT), la risalita è tanto più sicura quanto più la traiettoria corrispondente si mantiene lontana dalla retta limite degli M-valori.


Fig. 31: Traiettorie di risalita alternative.


Nell'esempio di Fig. 31, la traiettoria nera a partire dal punto Q è molto più lontana dalla retta degli M-valori cioè è molto più sicura rispetto alla curva verde che invece è quella suggerita dal computer. Come si vede la traiettoria nera è costituita da brevi tratti di risalita seguiti da brevi soste a quote profonde il tutto allo scopo di impedire al punto rappresentativo dello stato del sub di avvicinarsi troppo alla zona pericolosa. È un comportamento del tutto ovvio e banale se visto alla luce di quanto detto finora ma ha suggerito a taluni autori in cerca di gloria facile l'idea di battezzare tale tecnica con nomi altisonanti e pomposi tipo "Extra Deep Stops" ecc. Volendo poi trovare la traiettoria ottimale è facile vedere che essa coincide col tratto QS seguito da una discesa lungo la retta verde scuro di saturazione. Resta allora il problema di chiedersi perché il sub non debba seguire tali traiettorie anziché quella suggerita dal computer che lo espone indubbiamente a maggiori pericoli.
La risposta è semplice: il percorso suggerito dal computer è quello che richiede il minor consumo d'aria!
Ad esempio la discesa ottimale, cioè quella lungo la retta di saturazione, richiederebbe tempi lunghissimi assolutamente non alla portata del sub ricreativo. In ogni caso l'esame della Fig. 31 mostra in modo oltremodo chiaro che durante la risalita è buona norma effettuare brevi tappe a quote profonde anziché seguire alla lettera le indicazioni del computer che vanno intese come caso limite da usarsi solo se la riserva d'aria è in via di esaurimento.


Come si calcolano le Deep-Stops?

La tecnica di calcolo che più si è diffusa è quella proposta da E.C. Baker e che consiste nell'abbassare gli M-valori avvicinandoli alla retta che rappresenta la pressione idrostatica esterna (pT = p) in modo da limitare il salto pressorio tra i tessuti e l'ambiente esterno. In pratica si riaggiustano gli M-valori con il procedimento grafico illustrato in Fig. 32.


Fig. 32: Calcolo degli M-valori ridotti per le Deep-Stops.


Nell'esempio della figura la retta degli M-valori modificati passa per un punto a sinistra, che si trova in corrispondenza della quota di superficie ed è posto al 80% tra i vecchi M-valori (di Bühlmann) e la retta della pressione idrostatica esterna (pT = p, tracciata in nero). Passa inoltre a destra per il punto che si trova al 30% del suddetto intervallo ed è posto in corrispondenza della quota più profonda considerata (21 m. nell'esempio difigura). Come si vede, si abbassano molto di più gli M-valori alle alte pressioni e molto meno alle basse dato che si ritiene che il salto pressorio sia molto più pericoloso in profondità che in superficie. Le percentuali utilizzate vengono denominate Gradient Factors e possono assumersi di valore leggermente diverso da 80 e 30 utilizzati in Fig. 32. Una volta in possesso degli M-valori modificati per ciascun tessuto, la tecnica di calcolo delle tappe di deco rimane invariata e procede come indicato in Fig. 28. Il risultato, col metodo di Baker, è la traiettoria nera che ha la prima tappa a 18 m. mentre con gli M-valori normali la prima tappa avverrebbe solo a 6 m.
Questa tecnica è utilizzata tra gli altri dal software "Decoplan" della GUE e dal software AirDeco descritto nell'Appendice di questi appunti.


Il Computer ad aria integrata.

Alcuni computer, oltre al calcolo delle tappe di decompressione, misurando istante per istante la pressione della bombola sono in grado di stimare quanto tempo rimane al subacqueo prima di esaurire l'aria a disposizione. In altre parole essi segnalano quanto tempo si può rimanere alla quota presente in relazione al ritmo respiratorio attuale e tenendo conto delle tappe da effettuare durante la risalita. Il calcolo si basa sulla formula che dà il volume d'aria V consumato (in litri) da un sub che in t0 minuti si sposta a velocità costante dalla quota q1 (pressione idrostatica p1) alla quota q2 (pressione idrostatica p2). Esso vale:

    V = R [1+(q1+q2)/20] t0 (9)
  • ovvero

    V = R [(p1+p2)/2] t0 (10)

dove R è il ritmo respiratorio in litri/minuto, cioè il volume d'aria compressa che il sub inspira ogni minuto. Questo parametro è grossomodo costante al variare della profondità e dipende dalla capacità polmonare del subacqueo e dal lavoro che egli stà compiendo. V rappresenta invece il volume che l'aria consumata occuperebbe se si trovasse alla pressione di 1 atmosfera.

Il calo di pressione Dpb delle bombole indotto dal consumo V è dato invece dalla relazione:

    Dpb = (R/V0) [1+(q1+q2)/20] t0 (11)
  • ovvero

    Dpb = (R/V0) [(p1+p2)/2] t0 (12)

dove V0 è il volume in litri della bombola usata.

Supponendo allora di conoscere tutto il tragitto che deve fare il sub per risalire, è facile calcolare la quantità d'aria necessaria. Se per esempio il sub si trova nello stato Q = (q0,pt0) di Fig. 28, per risalire esso necessita del volume d'aria totale:

VT = R T

dove si è posto

T = {[1+(q0+12)/20]t0+2.2 t12+1.9 t9+ 1.6t6+1.3t3+4.1.6 ta}

ovvero necessita di una bombola caricata a (R/V0)T atmosfere.
Se la pressione attuale della bombola è pari a pb0 atmosfere e si desidera riemergere con una riserva pari a pbr atmosfere (esempio 50 bar) l'aria che rimane a disposizione per la permanenza alla quota q0 ha un volume residuo Vres pari a:

Vres = V0[pb0-pbr-(R/V0)T] (13)

che permette una sosta a quota q0 di durata pari al tempo residuo:

tres = [(V0/R)(pb0-pbr)-T]/[1+q0/10] (14)

è facile vedere che nell'espressione di tres compaiono tutti valori noti e cioè i tempi di tappa, le pressioni della bombola e le varie quote ad eccezione del rapporto (V0/R)  tra il volume della bombola utilizzata e il ritmo respiratorio attuale del subacqueo. Entrambi questi parametri non sono noti ma il loro rapporto può essere stimato dal computer in base alla variazione della pressione della bombola negli istanti precedenti.
Se ad esempio il sub si trova a quota q0 da Dt minuti la variazione di pressione Dpb della bombola in questo intervallo di tempo è data dalla relazione:

Dpb = (R/V0) [1+q0/10] Dt

noto quindi Dpb, q0 e Dt si ottiene:

(V0/R) = [1+q0/10] Dt/Dpb

Quest'ultimo, sostituito nella eq. (14) consente il calcolo del tempo residuo tres che il sub può utilizzare alla quota attuale e che viene visualizzato sul display del computer. Ovviamente il valore di (V0/R) viene continuamente aggiornato in modo da stimare il tempo residuo in base ai valori attuali del consumo del subacqueo.


L'uso delle miscele.

L'aria è composta essenzialmente da due gas, l'ossigeno e l'azoto che se respirati a pressione elevata e cioè in quantità superiore al normale possono dar luogo ad effetti di varia natura.

    Effetti dell'ossigeno:

  • Respirato a pressione non molto superiore al normale, in camera iperbarica, ha effetti terapeutici vari tra cui quello particolarmente utile di favorire la rimozione di eventuali bolle di azoto presenti nell'organismo.
  • Respirato a pressioni parziali elevate, superiori a circa 1.6 ata, interagisce negativamente col sistema nervoso centrale provocando convulsioni e perdita di conoscenza.

    Effetti dell'azoto:

  • Saturando i tessuti può provocare la malattia da decompressione se non si risale con le dovute cautele.
  • A partire dai 30 metri in poi può provocare effetti narcotici di varia entità che vanno dal disorientamento, alla alterazione delle capacità di ragionamento e fino anche alla perdita di conoscenza.

Si comprende quindi il motivo per cui molti sub, sopratutto professionisti, utilizzano miscele di gas diverse dall'aria per immersioni a profondità elevate in cui l'effetto narcotico dell'azoto e quello tossico dell'ossigeno rappresentano pericoli che non possono essere sottovalutati. Se però si rimane nell'ambito ricreativo e cioè a profondità non superiori ai 40 metri è evidente che il principale problema cui va incontro il subacqueo consiste nel pericolo di malattia da decompressione (MDD) per formazione di bolle nei suoi tessuti.
Non deve quindi sorprendere se molti operatori commerciali si sono posti il problema di migliorare la miscela aria in modo da diminuirne la pericolosità almeno per quel che riguarda la MDD. La risposta è ovviamente abbastanza semplice: poiché è l'azoto la causa della MDD, basta diminuire la percetuale di tale gas per migliorare la situazione. Si ottiene così il Nitrox, o più precisamente l'EAN (Enriched Air Nitrox) che è una miscela di azoto ed ossigeno in proporzioni variabili. Normalmente sono disponibili miscele standard quali 68% di azoto e 32% di ossigeno (EAN-32) oppure 64% di azoto e 36% di ossigeno (EAN-36) ecc. L'incremento di ossigeno tra l'altro favorisce l'eliminazione delle bolle che eventualmente si fossero formate, per cui il Nitrox sembra davvero una miscela ideale. In realtà l'aumento della percentuale di ossigeno non è del tutto "indolore" dato che, come già accennato, questo gas se respirato in quantità elevate provoca una grave intossicazione del sistema nervoso centrale con effetti molto pericolosi.
L'uso dell'aria arricchita di ossigeno quale ad esempio il Nitrox-32, é quindi consigliabile su fondali che non superino i 40 metri (1.6/0.32×10-10 = 40). In caso contrario qualsiasi emergenza che costringa i subacquei a superarare questa profondità sarebbe oltremodo pericolosa.
Il limite di profondità imposto dalla maggior percentuale di ossigeno risolve anche il problema della narcosi da azoto dato che essa si manifesta in forma pericolosa solo oltre i 40 metri.


La narcosi da azoto.

Uno degli effetti più pericolosi dell'azoto respirato ad elevata pressione, è la cosidetta ebbrezza degli abissi o narcosi. Per comprendere cosa sia e come si manifesti tale fenomeno, estremamente pericoloso per l'incolumità del subacqueo, occorre avere una idea anche approssimativa della struttura e del funzionamento del sistema nervoso. Esso può descriversi come una complessa rete di comunicazione lungo i cui cavi di collegamento si propagano brevi impulsi elettrici che trasportano informazioni di varia natura. La struttura di un singolo elemento (neurone) di questa sterminata rete è mostrata in Fig. 33.


Fig. 33: Struttura di un neurone.

In pratica ogni neurone viene eccitato da impulsi elettrici che lo attivano agendo sui dendriti (posti a sinistra in Fig. 33) e l'impulso elettrico che esso genera nel nucleo (potenziale di azione) si propaga verso destra attraverso un lungo cavo di collegamento, detto assone, come è mostrato nella seguente animazione:

Fig. 34: Attivazione (frecce a sinistra sui dendriti) e propagazione del potenziale di azione lungo l'assone.

Naturalmente gli impulsi giunti ai terminali sinaptici posti all'estremità dell'assone, attivano altri neuroni, agendo sui loro dendriti, come è mostrato in Fig. 35 in cui il neurone rosso invia il suo potenziale d'azione al neurone blu, contribuendo alla sua eccitazione.


Fig. 35: Eccitazione di un neurone (blu) da parte di un altro neurone (rosso).

Tutte le nostre azioni, dal movimento di un braccio al riconoscimento di un oggetto attraverso il sistema visivo, dai sentimenti, al pensiero razionale, sono riconducibili a produzioni e scambi di impulsi elettrici tra i vari neuroni del nostro cervello e del nostro corpo.
Cosa avviene allora quando i costituenti di questa complessa rete elettrica si saturano di azoto? Questo gas si scioglie nella membrana lipidica (detta mielina e indicata in colore verde in Fig. 33) che avvolge gli assoni (in ciò facilitato dalla eventuale presenza di CO2), degradandone le caratteristiche elettriche e quindi la capacità di trasmettere gli impulsi elettrici. Il potenziale d'azione si propaga più lentamente e con ampiezza che va via via diminuendo lungo l'assone, come mostrato nell'animazione di Fig. 36, in cui l'impulso elettrico non riesce a raggiungere i terminali sinaptici e quindi non può più contribuire ad attivare gli altri neuroni.

Fig. 36: Rallentamento e perdita degli impulsi a causa dell'azoto (colore viola) che permea la membrana mielinica.

Tutti i processi di emissione e trasmissione vengono dunque rallentati, rallentando così anche le nostre azioni, i nostri riflessi, i nostri pensieri. Non siamo più in grado di reagire con prontezza agli stimoli esterni, le nostre capacità di ragionamento e di giudizio subiscono gravi alterazioni e menomazioni. Possiamo sentirci euforici o depressi, possiamo perdere la capacità di vedere, udire, ragionare, via via fino fino alla perdita della conoscenza stessa. Fortunatamente il meccanismo di azione dell'azoto sul sistema nervoso é puramente meccanico cioè momentaneo e non provoca danni permanenti. É infatti sufficiente risalire di pochi metri, allentando la morsa della pressione perché la situazione ritorni quasi normale e il pericolo si allontani.
Ovviamente l'effetto meccanico dell'azoto é legato alla struttura della sua molecola per cui si pone il problema di conoscere quale possa essere l'effetto di altri gas aventi molecole anche notevolmente diverse. L'argon ad esempio ha un effetto narcotico ancor più pronunciato ed é quindi ancor più pericoloso dell'azoto. Esistono però in natura gas aventi una molecola molto piccola e leggera, che sciogliendosi nella membrana lipidica creano effetti meccanici di segno opposto a quelli dell'azoto e dell'argon. L'elio é uno di questi. L'elio, dopo l'idrogeno, é l'elemento più leggero in natura e la sua molecola inserendosi nella membrana mielinica che isola gli assoni, anziché degradarne le proprietà elettriche, le migliora. In altre parole a differenza dell'azoto, anziché rallentare i fenomeni elettrici che avvengono nel sistema nervoso, l'elio tende ad accelerarli: sia la frequenza di produzione che la velocità di scambio degli impulsi elettrici cresce. L'effetto non é più narcotico ma esilarante. É ben noto infatti il senso di estrema lucidità e prontezza di riflessi che pervade il sub che si immerge con l'elio. Ovviamente una eccessiva velocizzazione dei processi elettrici nel sistema nervoso può portare a problemi di sincronizzazione tra i vari componenti, nervi, muscoli ecc. causando instabilità di vario genere. L'elio respirato ad alte pressioni provoca tremiti e altri fenomeni ancor più gravi e pericolosi (High Pressure Nervous Syndrome).


Il Trimix.

Da quanto appena detto risulta chiara l'utilità di abbinare l'elio all'azoto e all'ossigeno in modo da ottenere una miscela di gas, detta Trimix, che soddisfi ai seguenti requisiti:

  • la percentuale di ossigeno deve essere tale da non superare il suo limite di tossicità, alla massima profondità operativa

  • le percentuali di azoto e di elio debbono essere in un rapporto tale da garantire la compensazione degli effetti narcotici dell'uno con quelli esilaranti dell'altro.

Ovviamente il Trimix non é una miscela "miracolosa" che una volta posta nella bombola consente al subacqueo di arrivare a 100 metri ed oltre e poi tornare indietro senza problemi di narcosi ed altro. Se ad esempio si usasse una percentuale di ossigeno del 10%, che risulta essere al limite di tossicità ad una profondità di 150 metri e si respirasse tale miscela durante tutta l'immersione, il sub probabilmente non sopraviverebbe per mancanza di ossigeno nei primi metri. Se questo non bastasse l'effetto di compensazione tra azoto ed elio cambia al cambiare della profondità per cui le percentuali del Trimix vanno variate in continuazione durante tutta l'immersione. Questo si può fare sia cambiando bombola durante la discesa e la successiva risalita, sia utilizzando particolari dispositivi, detti Trimix Rebreather a circuito chiuso che, con l'ausilio di un computer, dosano i tre gas al variare della profondità in modo da fornire al sub sempre la miscela ottimale. Con uno di tali dispositivi (Cis Lunar MK4), Richard Pyle, l'inventore delle deep stops, ha raggiunto i 125 metri nelle acque della Nuova Guinea, effettuando poi tutta la necessaria risalita e le varie soste di decompressione durante le quali il computer predisponeva, istante per istante, la miscela più idonea.


Il Trimix risolve il problema della MDD?

Purtroppo no, anzi probabilmente lo aggrava o al limite ne rende molto più complessa la gestione. Il comportamento dell'elio dal punto di vista della tendenza a diffondere e a formare bolle di gas nei tessuti è nettamente diverso da quello dell'azoto. Non è pertanto possibile equiparare il Trimix ad una miscela binaria di ossigeno e gas inerte e usare traiettorie nel piano di stato come nel caso dell'aria o del Nitrox. Facendo infatti riferimento al solito tessuto o compartimento equivalente, al posto di due soli parametri e cioè la pressione ambiente p e la pressione pt di azoto, nel caso del trimix è necessario usare tre parametri e cioé (p,pta,pte) dove pta e pte sono rispettivamente le pressioni dell'azoto e dell'elio nei tessuti. Le traiettorie che descrivono lo stato del sub durante una immersione si evolvono pertanto nello spazio tridimensionale di stato (p,pta,pte), anziché nel piano (p,pt) e di conseguenza la curva limite degli M-valori deve essere sostituita da una superficie limite, come mostrato in Fig. 37.

Fig. 37: Traiettoria nello spazio di stato e superficie degli M-valori.

Il sub parte dalla superficie (p = 1) con lo stato iniziale pta = 0.79 e pte= 0 e, utilizzando Trimix, effettua una immersione con un profilo simile a quello di Fig. 9. Durante la risalita si vede che la MDD si può manifestare perché la traiettoria attraversa (nel punto rosso P) la superficie rosa degli M-valori. Verificare se e quando avviene tale attraversamento e cioè trovare le coordinate di P, non è però altrettanto facile che nel caso delle traiettorie piane e richiede l'impiego di software più complessi di quelli disponibili nei normali computer subacquei, dedicati alle miscele binarie (aria o Nitrox).

L'elio, essendo un gas leggero, tende ad uscire più velocemente dell'azoto quando, in fase di risalita, i tessuti diventano sovrasaturi. Inoltre, essendo poco solubile nel sangue, una volta uscito dai tessuti, tende a dare la preferenza alla fase gassosa cioè alla formazione di bolle. Questo comporta un maggior pericolo di MDD e quindi la necessità di tappe più profonde che nel caso dell'azoto. In altre parole gli M-valori dell'elio sono molto più bassi di quelli dell'azoto.

A complicare ancor più le cose interviene anche il comportamento non lineare del processo di diffusione dell'elio. Inizialmente, quando la differenza di pressione è elevata,  l'elio diffonde con la solita legge esponenziale, già vista per l'azoto (anche se in tempi più brevi). Quando però il salto di pressione si riduce, la molecola di elio, avendo una massa ridotta, non possiede più la quantità di moto (massa × velocità) sufficiente per svincolarsi e rimane intrappolata tra le molecole ben più pesanti e complesse dei liquidi intratissutali. In pratica i tempi necessari alla decompressione si allungano in modo drammatico man mano che ci si avvicina alla superficie.

Per accorciare i tempi di deco occorre quindi cambiare miscela (per esempio Nitrox al posto del Trimix) in corrispondenza delle tappe più superficiali.
Non deve quindi stupire se una immersione in Trimix é più difficile da gestire e pone problemi di pianificazione che difficilmente ne favoriranno l'impiego in ambito ricreativo.

Infine, se questo non bastasse, dopo ogni immersione rimane nel sub una percentuale di elio il cui effetto si fa sentire nelle immersioni successive. La presenza di elio residuo nei tessuti ne cambia infatti le caratteristiche fisiche alterando i processi di diffusione successivi. In breve: si ha un processo di assuefazione che consente a chi si immerge di seguito per lunghi periodi di tempo, di usare profili di decompressione sempre più aggressivi e che porterebbero alla MDD se venissero applicati ad un sub alla prima immersione.


Appendice.

È possibile trovare una espressione analitica, cioè basata su funzioni note, dell'andamento della pressione di azoto nel sangue che soddisfi alla eq. (2)? La risposta è negativa salvo che in pochi casi particolari.
Due di essi sono di particolare importanza e vengono riportati qui di seguito.

  • Subacqueo a quota costante:
    In questo caso la soluzione esatta dell'eq. (2) è:

    pT(t) = pT(0) + [xp- pT(0)] (1-e-t/t) (A-1)

    dove pT(0) è il valore della pressione iniziale, p è la pressione idrostatica alla quota in cui staziona il sub e x è la percentuale di azoto.

  • Subacqueo che scende o sale a velocità costante:
    In questo caso la soluzione esatta dell'eq. (2) è (per l'acqua salata):

    pT(t) = pT(0) + [xp(0) - pT(0)](1 - e-t/t) + xv0[t + t(1- e-t/t )]/10 (A-2)

    dove p(0) e pT(0) sono le pressione idrostatica e dell’azoto nei tessuti alla quota di partenza, v0 è la velocità costante di discesa in m/s e x è la percentuale di azoto. Ovviamente la velocità v0 assume valori positivi o negativi a seconda che il sub scenda verso il fondo o salga verso la superficie. Come si vede la (A-2) si riduce alla (A-1) nel caso di velocità v0 nulla.